Le Nazioni Unite e l’Agenda 2030 hanno chiesto che si aumenti il riciclo e il reimpiego di acqua riducendo così l’inquinamento e il rilascio nell’ambiente delle sostanze chimiche. Dinanzi a queste priorità deve esserci un cambiamento, volente o nolente, che non avrà di certo una risposta facile. Essendo il problema molto più complesso di quanto si immagini.
Eppure un cambiamento potrebbe iniziare ad esserci nella sfera culturale educando i cittadini del mondo ad una vita più virtuosa e con meno sprechi, istruendoli e formandoli, comunicando che esiste un Green Deal Europeo e un relativo piano d’azione di “inquinamento zero” per salvaguardare le biodiversità nei laghi, fiumi, mari e ridurre l’utilizzo dei fertilizzanti nel settore agricolo.
Tra le cause del rallentamento dell’adozione di politiche “ecologiche” vi sono la lentezza degli Stati membri e l’insufficienza e l’inappropriatezza delle misure di mitigazione.
Perciò l’Europa prende atto dei mancati risultati, si pensi al raggiungimento mancato del buono stato chimico ed ecologico dei corpi idrici entro il 2015 (e probabilmente neanche per il 2027 ci sarà un buon responso), e prova così ad adottare altre strategie: più incisive per contrastare l’inquinamento e ciò non potrà prescindere dal coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali e non. Serve una maggiore credibilità da parte loro per trasmettere fiducia e un senso di responsabilità ai cittadini. Sono mesi che si parla, non a caso, di responsabilità individuali (per di più con metodi comunicativi facilmente discutibili) ma è importante che si sensibilizzino e si indirizzino gli attori economici, come industriali e agricoltori, verso processi che impattino in modo positivo sull’ambiente. E tale responsabilità deve essere trasmessa anche al consumatore.
La sensibilità dei policy makers è cresciuta col tempo ma non bastano slogan e messaggi, servono anche azioni concrete.