Decreto sviluppo: cambia la privacy per le imprese

Il DL n.138 del 5 maggio, noto come Decreto Sviluppo, contiene diverse misure di semplificazione amministrativa mirate a ridurre i costi gestionali per le imprese. Gli attuali vincoli di bilancio non consentono al Governo di provvedere con stanziamenti di fondi in favore del mondo produttivo, pertanto l’unico modo di venire incontro alle esigenze degli imprenditori è operare sul fronte dei costi, limitando gli adempimenti per chi ha un’azienda. Un’azione rivolta in particolar modo alle Pmi, sul cui volume di affari questi adempimenti avevano un peso significativo.

Tra le numerose misure prospettate nel Decreto, all’art. 6 si sancisce una consistente riduzione degli obblighi in materia di privacy per le aziende. Così recita l’articolo citato:

‘in corretta applicazione della normativa europea le comunicazioni relative alla riservatezza dei dati personali sono limitate alla tutela dei cittadini, conseguentemente non trovano applicazione nei rapporti tra imprese’.

Nel dettaglio, non sono più necessarie le informative sulla privacy e le richieste di consenso nel caso in cui il trattamento dei dati personali riguardi rapporti in cui sono coinvolte esclusivamente persone giuridiche (imprese, associazioni, enti), con finalità amministrative e contabili. Questi si esplicano, ad esempio, nella tenuta della contabilità, nella esecuzione degli obblighi fiscali e in tutte le attività organizzative e gestionali.

Cambia anche la disciplina del documento programmatico per la sicurezza (DPS). Sono esonerati dalla sua predisposizione tutte le aziende che trattano, come unici dati sensibili, i dati dei loro dipendenti e collaboratori [1]. Ovvero tutte le aziende che non hanno come core business il trattamento di dati sensibili, ovvero la maggior parte delle imprese. Ad esse spetta solo l’obbligo di autocertificare l’osservanza delle c.d. "misure minime di sicurezza"[2].

E non solo: tali "misure minime" sono soggette ad ulteriore semplificazione da parte del Garante (di concerto con il Ministro per la semplificazione normativa e il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione) per le Pmi, i liberi professionisti e gli artigiani.

Il dettato della L.196/03, che all’art. 2 volutamente non distingue tra persone fisiche e giuridiche, utilizzando il termine "chiunque" per identificare i soggetti "interessati" alla tutela della privacy trova ora limitazione nell’ambito dei rapporti tra imprese, al fine di contenere l’impatto economico della normativa sulla privacy sulle aziende di media o piccola dimensione.

La completezza delle tutele previste dalla 196 ha infatti prodotto un insieme di obblighi e adempimenti che pesano in eguale misura su aziende di qualsiasi fatturato, costituendo pertanto un peso non indifferente per un’impresa di piccole dimensioni.

Nel nostro Paese, dove il tessuto imprenditoriale è in prevalenza formato da Pmi, l’esigenza di migliorare la loro competitività per sostenere lo sviluppo economico è evidente.

Sul piano dell’economia, questa scelta legislativa è condivisibile: l’ammontare complessivo del debito pubblico italiano non consente una politica di bilancio espansiva, basata sull’indebita-mento pubblico, quale gli interventi promossi dal presidente Obama negli Usa.

Tuttavia, avere agito riducendo gli adempimenti previsti dalla normativa sulla privacy deve essere fonte di riflessione: è opportuno che le aziende "scambino" una parte della tutela della loro privacy con un risparmio negli adempimenti?

La ratio del decreto va in questo senso, interpretando anche la tradizionale avversione delle Pmi nei confronti di adempimenti burocratici che sottraggono tempo, risorse economiche ed energie mentali in nome di principi astratti che sono lontani dalla quotidianità di chi lavora. Fino a quando una violazione della loro riservatezza, mettendo a rischio la loro reputazione, farà loro "rivalutare" il concetto di privacy.

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