Infodemia. Il termine utilizzato per indicare una quantità eccessiva di informazioni, talvolta non esaminate e approfondite con accuratezza e la difficoltà nell’individuare fonti affidabili rende faticoso orientarsi su un argomento. Ne abbiamo avuto prova con i disordini comunicativi legati all’infezione del nuovo coronavirus che ha colpito tutti i Paesi del mondo con una vera e propria ondata di informazioni false e di operazioni mirate da parte di alcuni attori stranieri, ha affermato Vera Jourova, vicepresidente della Commissione Ue per la Trasparenza ed i Valori durante l’intervento nella commissione Giustizia dell’Eurocamera. È un tema estremamente delicato sia per la criticità che riguarda la salute pubblica e sia perché c’è il rischio che i governi utilizzino l’infodemia per limitare i diritti fondamentali e la libertà di espressione. La Cina, durante questi mesi di emergenza, sembra abbia cavalcato la crisi promuovendo la propria immagine come Paese organizzato e “per deviare le responsabilità della gestione”. L’Unione europea pertanto prenderà le dovute misure per contrastare questo fenomeno.
Durante le emergenze c’è la necessità di dare informazioni “mirate” (come ad esempio l’hashtag “restoacasa”) essendo un modo efficace per comunicare al pubblico delle informazioni “selezionate” e non sovraccaricare la popolazione, visto anche il danno psicologico che può derivare da una ripetuta esposizione mediatica di notizie riguardanti l’epidemia. Sarebbe utile adottare, durante la comunicazione, degli elenchi puntati e associare al testo delle immagini, foto/video/audio che ci aiutano a ricordare le azioni da svolgere e da mantenere per tutta la durata dell’emergenza senza andare nel panico. Anche l’utilizzo di infografiche (diagrammi, linee temporali) può essere utile alla memoria.
Protagonisti di questa emergenza sono state (e sono) le piattaforme dei social media per diffondere informazioni verso fonti attendibili: Facebook indirizza gli utenti verso il sito web dell’Organizzazione Mondiale della Sanità oppure verso i siti web delle autorità sanitarie nazionali e locali; Google Scholar ha messo in evidenza alcune delle principali riviste mediche; Twitter ha provato ad indirizzare le persone che volevano informarsi sul coronavirus verso risorse affidabili, magari attraverso il suggerimento di esperti scientifici.
Questa abbondanza di informazioni e anche di disinformazione potrebbe significare un punto di svolta per scienziati, medici, organizzazioni sanitarie e anche “influencer” di social media per far confluire gli utenti verso fonti affidabili e cercando in questo modo di contrastare la disinformazione e bloccare la circolazione di fake news.