Come allenare la propria intelligenza emotiva in 3 mosse

Dagli anni ’90 il tema dell’intelligenza emotiva è sempre più al centro delle analisi sociologiche: la sua “scoperta” è stata travolta da un intenso dibattito che ne ha apprezzato e valorizzato l’importanza, sino a farlo diventare uno slogan inflazionato e di gran moda citato a più non posso come caratteristica fondamentale per avere successo nella vita personale, sociale e professionale.
Siamo perfino arrivati ad inserirlo nei criteri standard di valutazione del personale, anche se la maggior parte dei manager che scelgono questo tema nei relativi “menù a tendina” non ne conosce appieno il significato e tanto meno ne allena su se stesso i suoi potentissimi contenuti.
Il tema è complesso e ampiamente sviluppato da illustri esperti, mentre le sue preziose definizioni fanno a gara su internet per esprimerne la migliore completezza ed attualità (in fondo da quando se ne parla sono passati non invano 30 anni). Al fine di inquadrare la materia citiamo solo Peter Saloyey e John D. Mayer, che trattarono per la prima volta l’intelligenza emotiva definendola come la capacità di controllare sentimenti ed emozioni proprie e altrui, distinguere tra di esse e utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni.
Di fronte a cotanto patrimonio sarebbe velleitario aggiungere carne al fuoco, ma forse è invece utile scomporre il concetto nei suoi elementi fondamentali per andare oltre lo slogan, e dar modo così a tutti di cimentarsi nell’importante e mai sufficientemente praticato esercizio di allenare la propria intelligenza emotiva.
E’ opinione comune infatti che un individuo l’intelligenza emotiva o ce l’ha o non ce l’ha, e che da questo deriva il suo modo di porsi verso gli altri e di stare al mondo. Niente di più sbagliato: è una abilità che si può allenare e accrescere se ci si concentra sui singoli elementi che sottostanno alla sua superficie definitoria.
Proviamo a farlo insieme, in tre mosse.
 
1. Il primo passo è conoscersi meglio, acquisire la consapevolezza di se stessi in profondità. Per farlo occorre fare spazio dentro di noi, in modo che i pensieri liberi occupino quegli spazi dandoci modo di arrivare alla radice della nostra identità. Esistono innumerevoli tecniche per farlo, da quelle orientali sofisticate a quelle più semplici: a me per esempio accade di trovare questi spazi e di riempirli con pensieri profondi mentre corro, nuoto, faccio trekking, vado in moto. Il silenzio che accompagna questi momenti di riflessione è sempre creativo, e se riusciamo ad orientarlo verso noi stessi ci permetterà di mettere ordine gli aspetti che compongono il nostro essere.
La vita è tutto ciò che accade mentre siamo impegnati a fare altro, diceva tra gli altri John Lennon, e recuperare la coscienza di chi veramente siamo nel preciso momento in cui lo stiamo vivendo ci aiuterà ad affrontare meglio l’unica variabile della nostra vita che non possiamo governare: il tempo, risorsa finita per definizione.
Bloccare il nostro “fare”, spesso frenetico, feconda la mente e permette di accogliere e di ordinare ciò che siamo senza farsi travolgere dalle impressioni, i preconcetti, ecc. Una specie di reset, insomma, che fatto periodicamente permette di orientare e riorientare noi stessi sui principi cardine della nostra vita.
A proposito di silenzio interiore: una sera della mia adolescenza ero in lacrime davanti alla scrivania dopo aver passato ore a studiare una lunga poesia che non mi entrava in testa. Quando mio padre mi disse di chiudere i libri e di non pensarci più dormendoci sopra, pensavo ormai che la sconfitta si fosse consumata. Ma la mattina dopo -come per magia- la poesia fluiva per intero nella mia mente, e lì è rimasta ancora oggi nonostante gli anni passati (è il 5 maggio di A. Manzoni, se volete ve la recito ancora tutta). Questo solo per dire che il silenzio interiore può diventare un potente strumento capace di fare ordine nei nostri pensieri ingarbugliati arrivando sino al vero obiettivo che qui rileva: acquisire una più profonda consapevolezza di noi stessi.
Conoscersi meglio è un primo step verso l’intelligenza emotiva perché partendo da se stessi si intercettano e comprendono a fondo le proprie emozioni, e si riesce ad entrare in sintonia con le altre persone a prescindere da chi sono e a quanto ci piacciono: il punto fermo di “chi siamo” ci ancora infatti ad una solida base che serve a prender le giuste misure con gli altri e a predisporci al loro ascolto. Quello profondo, che permette di comprendere cosa c’è dietro una parola, un gesto, una azione e a reagire di conseguenza in modo preparato.
 
2. Il secondo step è quello relativo alle emozioni, che per loro natura hanno un enorme impatto sul nostro sistema fisiologico – arrossiamo, ci vengono i brividi, respiriamo diversamente, ci sale la pressione – ma soprattutto su quello cognitivo. In altre parole le emozioni che proviamo modificano e influenzano pensieri, valutazioni, impressioni portandoci a reagire sul piano comportamentale – con espressioni diverse, tono della voce, postura, ecc. – in modo direttamente correlato a quello che l’emozione ci ha fornito come input. Il che si traduce poi sul piano relazionale in qualità dei rapporti con gli altri, della nostra vita e della gestione dei conflitti.
Una catena senza fine originata da un sentimento nobile, l’emozione appunto, che richiede di essere gestita per evitare che la spontanea naturalezza del nostro essere trasporti distorsioni profonde sul piano delle reazioni e delle relazioni.
Per far ciò è importante comprendere e riconoscere le proprie emozioni:
• Contestualizzandole rispetto all’evento che le ha generate
• Ponderandole in relazione alla conoscenza di se stessi;
• Dandole un significato, sempre rispetto a se stessi
• E fatto questo (altrimenti è impossibile andare avanti, come nel gioco dell’oca) regolarle nella loro intensità e durata in relazione a ciò che le ha provocate.
Non si tratta assolutamente di reprimerle dunque, ma di trasformarle in nostre alleate nell’affrontare prima noi stessi e poi le relazioni con gli altri.
Le ricerche scientifiche pubblicate dimostrano ormai senza indugio che la capacità di capire le proprie emozioni, i sentimenti che ne derivano, saper controllare l’umore e gli stati d’animo e sviluppare la capacità di non arrendersi nel perseguire un obiettivo gestendo le emozioni ci fa essere migliori e fa diventare molto migliori le relazioni con gli altri.
Valore, quest’ultimo, molto importante non solo per il successo ma anche per la nostra qualità della vita, perché influisce in modo prioritario sul nostro benessere pur essendo un asset intangibile che non si può comprare. Insomma se si hanno i soldi si può acquistare una bella auto pensando che dia la felicità, ma dopo poco si scopre sempre che così non è. Con una appropriata gestione delle emozioni si possono invece guadagnare relazioni e esperienze di vita che avvicinano molto al concetto di felicità, prendendo coscienza che il mondo esterno è così parte di noi stessi che tutto si tiene insieme: da noi, ai nostri sentimenti ed emozioni, alle relazioni con gli altri. Un vero e proprio circolo virtuoso, che parte da noi e ci restituisce con gli interessi tutto il valore per gli altri che saremo stati in grado di esprimere.
 
3. Una volta comprese e gestite le proprie emozioni, il terzo passo è quello di intuire ciò che provano gli altri accedendo e orientando i loro sentimenti. Si tratta di una armonia che richiede ascolto e comprensione dell’altro, ma se si poggia sulla nostra raggiunta abilità di conoscerci e riconoscere le nostre emozioni sarà facile a quel punto agire su ciò che provano gli altri.
Nessuna opportunista manipolazione degli altri, beninteso, ma “solo” un empatico allineamento del nostro pensiero positivo con quello dell’altro basato sulla profonda comprensione delle reciproche dinamiche emozionali, comportamenti e mentali.
Se poi le emozioni in gioco sono negative – ed è ben possibile che ciò accada – si tratta di trovare in loro la vera natura che ne è a fondamento, farla nostra e trasferirla agli altri in questo allineamento emotivo senza substrati. È questo un modo, ad esempio, per controllare l’emozione della “rabbia” con cui qualcuno di noi è solito esprimersi specie se sotto stress: ricerchiamo cosa si cela dietro di essa e trasformiamo ciò che ne è a fondamento in un messaggio costruttivo. Sempre in questo esempio, dietro la rabbia c’è l’ansia di performance? e allora concentriamoci sul risultato da ottenere, trasferendone per bene agli altri le relative priorità.
Non si è mai visto in altri termini che la rabbia sia una emozione che generi messaggi concreti e costruttivi verso gli altri, che spesso reagiranno a questa manifestazione istintiva con atteggiamenti difensivi o peggio con paura.
Se la nostra intelligenza emotiva sarà in grado di intercettare per tempo quella istintiva emozione negativa trasformandola in una comunicazione costruttiva (non necessariamente positiva) verso gli altri, e dagli altri compresa se non fatta propria, avremo raggiunto un grande successo.
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Questi tre passi – certamente non banali e da elaborare con concentrazione in profondità – ci aiuteranno a trasformare le emozioni in qualcosa di utile a noi e agli altri, perché al netto degli altri condizionamenti contengono una proposta. Che risulterà tanto più efficace quanto più saremo stati abili a monte:
• Nell’intercettare l’emozione di base;
• Decodificarla;
• Fare nostri i relativi contenuti che l’hanno generata;
• Trasformarla in un messaggio basato su tale contenuto;
• Comunicarne la sostanza agli altri in modo “intelligente”, acquisendo la loro attenzione ed attrazione.
Forse l’ho fatta troppo semplice: allenandosi su questi step potremmo accorgerci che alcuni di essi sono per noi molto ardui. E’ però certo che sono tutti alla nostra portata, perché altri ci sono riusciti: e chi ha fatto dell’intelligenza emotiva un proprio stile professionale e di vita si riconosce da lontano in termini di autorevolezza e naturale leadership.
Il guardare alle persone cui riconosciamo una buona intelligenza emotiva ci può dare interessanti termini di confronto e di riflessione, nonché buone motivazioni per cimentarci anche noi in questo percorso. Non necessariamente per arrivare allo stesso punto, ma magari per diventare anche solo un po’ migliori.
L’importante è esserne convinti, come recitava un famoso cantautore: “se ci credi ti basta perché, poi la strada la trovi da te”.
A chi manca questa voglia o pensa di utilizzare l’intelligenza emotiva come grimaldello predatorio per portare l’interlocutore dalla propria parte mi dispiace solo che sia arrivato sin qui, perché ha perso tempo. Agli altri (me incluso), buona strada.
 

Filippo Antilici de Martini di Valle Aperta

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